Fotografare un artista mostra fotografica a cura di Enzo Velati La mostra è realizzata nell’ambito della personale La forma del colore dello scultore Iginio Iurilli, presso il castello Carlo V di Monopoli, dal 3 luglio al 31 ottobre 2021. Giuseppe Pavone espone alcune opere dedicate all’artista. Le fotografie, accompagnate da un testo critico di Enzo Velati, sono state realizzate presso la bottega di Iginio Iurilli negli anni 2018, 2019, 2020 e in occasione delle mostre Castelli di sabbia, Biblioteca comunale Gioia del Colle (Ba), 2003; Terre di mare, Ospedaletto dei Crociati, Molfetta (Ba), 2003; Pesce d’aprile, Galleria Spazio Ikonos, Bari, 2003.
FOTOGRAFARE UN ARTISTA Che scelte compie Pino Pavone per fotografare Iginio Iurilli in vista di una mostra importante? Una domanda che ci poniamo vedendo le immagini qui proposte che oscillano volutamente tra due poli semantici diversi. Il primo, nei pannelli composti da più immagini, muove a fotografare il carattere amichevole del personaggio Iurilli nel suo agire giocoso da artista che, consapevole del valore della propria opera, non si impaluda in pose sussiegose e meditabonde ma preferisce sberleffi, giochi linguistici (in tutti i sensi) tra primi piani e le immagini di fondo alla ricerca di una complice arguzia figurativa, ironica e leggera. Il secondo si orienta al modello del ritratto ambientato, un genere cardinale nel vasto mare della ritrattistica fotografica, con precedenti importanti in Italia proprio per gli artisti visuali. Viene subito alla memoria un capitolo della storia della fotografia italiana negli anni 60. Ugo Mulas in un viaggio a New York, frequentando gli artisti della Pop Art, documentò da vicino, epicamente, quella stagione allo stato nascente. Erano possibili altre scelte per Pino? Certo: si pensi a come, nella ricerca del quid della creatività moderna sono stati fotografati, e anche filmati, Picasso, e Pollock nel loro agire concreto o, in una rispettosa e pudica finzione, Lucio Fontana, nell’atto di un suo “non taglio”, sempre per opera di Mulas. La scelta di Pavone è diversa: schivando tanto l’indagine sul gesto artistico quanto una certa malattia infantile del ritrattismo (il primo piano assoluto, ricco di peli e di rughe) si concentra sulla eloquenza delle cose, la poesia dei dettagli, la stratificazione degli oggetti, l’organizzazione degli spazi. Il nodo è il dialogo che lega l’artista al suo ambiente di lavoro. Un rapporto così significativo che molti sono i casi in cui, scomparsi gli artisti, i loro studi sono divenuti musei. Altre impegnative scelte logistiche hanno voluto eternare gli studi di grandi della storia dell’arte ricostruendoli totalmente nei musei. Si pensi ai casi straordinari del caotico studio di Bacon a Dublino o di quello di Brancusi a Parigi. Nelle immagini singole, in grande formato, prende corpo il dialogo tra Iginio Iurilli e il suo studio. L’artista si muove liberamente, con scioltezza, fumando: è immerso nel suo spazio operativo con i materiali e gli attrezzi del mestiere. Talvolta si mette in posa facendo scivolare lo sguardo del fotografo su sue ben note opere. Con altre riprese il fotografo fa dialogare presente e passato riprendendo a margine foto precedenti stampate su volantini e locandine di mostre che hanno segnato la carriera di Iurilli: un dialogo con altre stagioni e altri fotografi. Non molte immagini quindi ma una narrazione densa, che si fa leggere a lungo in cerca di dettagli e riconoscimenti. Una scelta linguistica razionale che valorizza la operatività di Iginio, il suo agire artistico, materiale e progettuale, e dà conto del fertile incontro con lo sguardo critico ed affettuoso di Pino Pavone. Vincenzo Velati