Storia e arte del cimitero monumentale di Bari
testi di
Maria G. Altomare, Angela Colonna, Vito A. Melchiorre, Vincenzo Sblendorio, Vincenzo Velati, Daniela Veneto.
fotografie di
Giuseppe Pavone
Sguardi per sempre
C'è in queste foto del cimitero di Bari, oltre il valore documentario, anche un discorso segreto ed intuitivo sul valore della fotografia che ha il merito di far emergere un filo nascosto della storia della nostra cultura. I cimiteri sono luoghi simbolici per eccellenza: la morte non si può direttamente dire o rappresentare e la pietà dei viventi si esprime allora o per diretta raffigurazione dell'aspetto dei defunti o per simboli tratti dal repertorio formale delle nostre radici (colonne spezzate, torce rovesciate, angeli ploranti, mostri guardiani, corone di fiori, croci di ogni tipo). Il risultato, dal punto di vista della storia dell'arte, dell'emergere di questi bisogni figurativi ha permesso, a partire dalla metà del secolo diciannovesimo, uno sviluppo quantitativo della scultura senza precedenti, ma paradossalmente la sua necessità di esattezza referenziale ha di fatto affossato, per lunghi decenni, la stessa scultura come linguaggio partecipe del movimento di rinnovamento artistico. L'avvento della fotografia e il suo sviluppo di massa hanno aperto un nuovo capitolo in questo cammino: quel che un tempo era richiesto alla scultura, perché la pittura è caduca e privata, diventò ben presto dominio quasi esclusivo della fotografia, grazie alla invenzione della tecnica della trasposizione delle immagini sulla porcellana.
Da fotografo sensibile Pavone coglie questo snodo di cultura figurativa e, partendo dalle immagini totali di cappelle funeree, figlie dell'eclettismo storicistico, appesantite da citazioni del romanico regionale, ci conduce alla riconsiderazione della ritrattistica realistica della fine del secolo diciannovesimo e alle fluidità del liberty. Il percorso si fa più interessante seguendo l'affermarsi della fotografia nei monumenti funerari: dapprima gli inserti fotografici sono incastonati in una precisa struttura decorativa, che tende ad assimilarli ai ritratti scultorei, ma ben presto le nuove caratteristiche di questi oggetti figurativi prendono il sopravvento.
La fotografia celebra il suo potere di fermare il tempo e di testimoniare, oltre ogni intenzione del fotografo e del soggetto rappresentato, il luogo e il momento della ripresa in tutti i risvolti fisici ed emozionali. Dalle pose, dalle pieghe dei vestiti, dalle acconciature dei capelli, dalle luci di studio e dalle posizioni emerge prepotente la realtà quotidiana. I dettagli acquistano una valenza informativa perspicua che ci prende e ci trascina nella vita quotidiana che fu. Se si segue la ricerca del nostro autore si coglie via via il passaggio dalla rigidezza della posa frontale, con particolari iconografici d'obbligo (i gradi dei militari, il decoro borghese dei vestiti, i vezzi femminili), fino all'utilizzo delle istantanee con i vestiti della festa, la posizione casuale delle mani, gli sguardi vivaci e naturali, le luci squilibrate e contrastate della realtà. L'occhio del fotografo sa cogliere questi particolari e le fotografie ci parlano questa volta della loro stessa storia.
Vincenzo Velati
C'è in queste foto del cimitero di Bari, oltre il valore documentario, anche un discorso segreto ed intuitivo sul valore della fotografia che ha il merito di far emergere un filo nascosto della storia della nostra cultura. I cimiteri sono luoghi simbolici per eccellenza: la morte non si può direttamente dire o rappresentare e la pietà dei viventi si esprime allora o per diretta raffigurazione dell'aspetto dei defunti o per simboli tratti dal repertorio formale delle nostre radici (colonne spezzate, torce rovesciate, angeli ploranti, mostri guardiani, corone di fiori, croci di ogni tipo). Il risultato, dal punto di vista della storia dell'arte, dell'emergere di questi bisogni figurativi ha permesso, a partire dalla metà del secolo diciannovesimo, uno sviluppo quantitativo della scultura senza precedenti, ma paradossalmente la sua necessità di esattezza referenziale ha di fatto affossato, per lunghi decenni, la stessa scultura come linguaggio partecipe del movimento di rinnovamento artistico. L'avvento della fotografia e il suo sviluppo di massa hanno aperto un nuovo capitolo in questo cammino: quel che un tempo era richiesto alla scultura, perché la pittura è caduca e privata, diventò ben presto dominio quasi esclusivo della fotografia, grazie alla invenzione della tecnica della trasposizione delle immagini sulla porcellana.
Da fotografo sensibile Pavone coglie questo snodo di cultura figurativa e, partendo dalle immagini totali di cappelle funeree, figlie dell'eclettismo storicistico, appesantite da citazioni del romanico regionale, ci conduce alla riconsiderazione della ritrattistica realistica della fine del secolo diciannovesimo e alle fluidità del liberty. Il percorso si fa più interessante seguendo l'affermarsi della fotografia nei monumenti funerari: dapprima gli inserti fotografici sono incastonati in una precisa struttura decorativa, che tende ad assimilarli ai ritratti scultorei, ma ben presto le nuove caratteristiche di questi oggetti figurativi prendono il sopravvento.
La fotografia celebra il suo potere di fermare il tempo e di testimoniare, oltre ogni intenzione del fotografo e del soggetto rappresentato, il luogo e il momento della ripresa in tutti i risvolti fisici ed emozionali. Dalle pose, dalle pieghe dei vestiti, dalle acconciature dei capelli, dalle luci di studio e dalle posizioni emerge prepotente la realtà quotidiana. I dettagli acquistano una valenza informativa perspicua che ci prende e ci trascina nella vita quotidiana che fu. Se si segue la ricerca del nostro autore si coglie via via il passaggio dalla rigidezza della posa frontale, con particolari iconografici d'obbligo (i gradi dei militari, il decoro borghese dei vestiti, i vezzi femminili), fino all'utilizzo delle istantanee con i vestiti della festa, la posizione casuale delle mani, gli sguardi vivaci e naturali, le luci squilibrate e contrastate della realtà. L'occhio del fotografo sa cogliere questi particolari e le fotografie ci parlano questa volta della loro stessa storia.
Vincenzo Velati