Rami, foglie, radici
a cura di Giuseppe Pavone e Vincenzo Velati
Dialogo secondo
- Il successo dell’anno scorso ti ha consigliato di bissare? Per questo mi hai cercato?
- Successo… non lo so.. La novità di recitare il nostro testo fu applaudita. Forse il merito è della forma del dialogo. Parlare con te mi aiuta e poi il tuo punto di vista è diverso dal mio: posso scrivere un po’ di più.
- Pensa se fossimo in tanti: le idee volerebbero.
- Ma questo lo si fa a scuola, in classe o nei seminari all’università.
- Non so se oggi si facciano ancora. Però è giusto lasciar fiorire i pensieri di chi guarda.
- Il dialogo coinvolge: vedi nel cinema. Ma non bisogna banalizzare, come forse ne “La grande bellezza” nel dialogo tra critico e artista. Mi ha colpito invece, risentire il dialogo esistenziale, pieno di citazioni bibliche, tra i due killer di “Pulp Fiction”, con il laico Vincent Vega (John Travolta) che discutendo dei miracoli divini con Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) spara a Marvin, per caso; Vincent morirà poi come un eroe godardiano, leggendo Modesty Blaise, ispirazione latente di “Kill Bill”.
- Non ti perdere nelle citazioni per favore, e non te ne venire anche con i classici, rischi di essere il solo ad apprezzarli: non funzionano oggi questi rimandi complici.
- Ok. Parliamo di “Rami foglie e radici”.
- Allora, vedo che quest’anno c’è qualche novità. Avete preso il largo.
- Non provocare, le nostre cose sono sempre nuove. Sul filo del minimalismo, ma la ricerca è originale.
- Mi fa pensare questo termine: ricerca. Non dite foto d’arte o artistiche ma di ricerca. Spiegami che volete intendere.
- Hai ragione, ricerca è un concetto comodo da usare, ma spesso compaiono altri termini: autorialità, qualità, profondità….
- Ma mi pare che “ricerca” sia quello preferito. Perché?
- Perché richiama una intenzionalità consapevole, forte di alcuni principi formali e di comportamento. Quasi un protocollo di lavoro condiviso.
- Fammi capire: vi mettete d’accordo su dei temi e poi ognuno di voi esce di casa e gira con la macchina fotografica. Va incontro a quel che succede e che gli capita di vedere. E’ un po’ la pratica del flâneur di Baudelaire e Benjamin nella città moderna, che poi potrebbe essere alla radice (vedi che uso il vostro titolo!) di Cartier Bresson e del suo attimo rubato.
- Stai semplificando troppo. All’accostamento tra Baudelaire e Cartier Bresson non avevo pensato, ma se ricordo bene, proprio Baudelaire descriveva il flâneur come un “botanico del marciapiede”. In realtà alla base di tutto c’è una idea condivisa di cosa è fotografabile e di come questo deve avvenire. Ne abbiamo parlato altre volte: il paesaggio come insieme di segni storici e naturali organizzati da quadri mentali. La marginalizzazione della emotività della figura umana, del ritratto, del tragico. L’attenzione ai valori formali e compositivi, il rifiuto del giudizio e della enfasi, il rigore nell’uso degli strumenti, la consapevolezza dei registri linguistici, l’immagine come pensiero. Ma ti annoio, forse.
- No: è che quando parliamo di questo, il campo si allarga e mi pare che ogni immagine convincente sia oltre che problematica anche fondante del suo canone interpretativo.
- Sì ma solo se si riesce a costruire un insieme significativo di segni e forme. E se si costruiscono concetti, classi, generi.
- E gli autori ? Mica si mettono d’accordo. O no?
- No, non si mettono d’accordo prima, ma ci sono affinità e paralleli.
- Cioè?
- Richiami di immagini e di idee: quelle che accomunano e sono feconde. Ma ognuno lavora come crede, con pratiche personali, regole e vincoli autonomi. Non è che un sistema sia meglio dell’altro. È come nella poesia: c’è chi riesce a produrre solo se si impone le regole della metrica e della rima.
- E le adatta anche alla poesia erotica….
- Certo, sappiamo chi… e c’è chi va in cerca di versi sciolti e di una musicalità assoluta.
- Fammi qualche esempio tra queste foto che state per esporre. Non credo che tutte siano state fatte per l’occasione.
- Penso anche io: questi grandi alberi neri credo siano il frutto di un lavoro di qualche tempo fa di Michele Roberto. Sono immagini eroiche e drammatiche, per le forme e il contrasto tra luci e ombre. Dovrebbero essere i pini loricati del Pollino, giganti della montagna.
- Ricordano Friedrich.
- Cautela con le suggestioni pittoriche … Friedrich usava contrapporre le grandi querce invernali, contorte nei rami privi di foglie, ai monaci minuscoli nella neve per dare forza al suo simbolismo escatologico. Ma qui prevale una esaltazione dei valori di texture e di struttura organicistica.
- Sono immagini potenti e silenziose.
- Vero.
- E queste teste fiorite cosa sono?
- Sono statue lignee di santi riprese da Beppe Gernone. Beppe ha voluto introdurre delle dissonanze visive: accanto alle teste nude ha aggiunto fiori di vario tipo.
- Gernone ama l’immagine surreale, si sa.
- Qui ha usato le potenzialità digitali per alimentare anche una componente concettualistica: il legno secco scolpito e dipinto con accanto i fiori freschi, come in un altarino virtuale.
- E questi fiori che spuntano dalle grate?
- Sono di Franco Altobelli che altre volte hai visto intervenire creativamente sulle immagini. Qui invece ha scelto il timido affacciarsi di foglie e fiori dalle grate condominiali L’unitarietà della composizione dà un rigore forte alla serie e fa riflettere su come noi guardiamo la natura. Ma c’è anche la voglia di analizzare la percezione del passante che vede d’infilata le grate. Camminando con lo sguardo in avanti non si può girare a ogni passo la testa per un visione diretta. Costeggiando le grate un muro visivo continuo si apre progressivamente al nostro passo ma si percepiscono la luce e le aperture solo con la coda dell’occhio. Invece allo sguardo diretto i fiori e gli steli oltrepassano il muro.
- Sono foto delicate ed intense ma devono essere viste nell’insieme credo.
- E’ così: non vanno isolate, una per una, ma viste in continuità, non fugacemente.
- Queste altre con le foglie traforate come un merletto di chi sono ?
- Sono di Angela Cioce. Angela è fotografa pubblicitaria ma ha una base valoriale decisa. Sembra avere un atteggiamento orientale, di rispetto religioso verso la natura e aspira a una comunione panica. Di solito le foglie mangiate dai bruchi sono quelle che si scartano e si gettano via, lei invece le fotografa, con un senso di incanto per le forme. Lo stesso stupore che si avverte nelle foto dedicate ai rami innevati o ai fusti intravisti nella finestra o alle presenze straniate dei cactus.
- Ma anche nel video di Nicola De Napoli c’è qualcosa, di panico di fusione tra uomo e natura.
- Certo, a dirlo in poche parole si semplifica ma nelle immagini si insegue una idea antica di associazione tra creature vegetali e uomini. I boschi, gli alberi, le foglie i rami vengono confrontati per analogia con le cellule e le terminazioni nervose e muscolari del corpo umano. E le associazioni sono suggestive. Te ne rendi conto pian piano e fanno riflettere.
- Pavone invece sembra essersi dedicato alle macrofotografie questa volta…
- No, attento. Pino lavora sempre sulla profondità di campo, i riflessi, le ombre che fondano la relazione con il contesto, e non sul primo piano assoluto. Qui quel che importa non sono solo i vegetali spontanei dei marciapiedi e dei bordi stradali, che altri hanno già fotografato, ma la relazione con il contesto urbano. Per poterla valorizzare si è abbassato alla superfice stradale, là dove queste piante nascono e da lì nasce una visione particolare di muri e di spazi.
- Ma queste piante spontanee non sono mai isolate sono sempre a gruppi, quasi comunità vegetali nascenti, frutto di quei prati spontanei che prosperano incolti nei buchi urbani.
- Si certo, non sono solo accidenti singoli. Pino ha fotografato queste piante in tutta la città, è un allargamento di sguardo che è un’altra novità e che coglie un aspetto particolare di Bari, città con grandi spazi naturali non irreggimentati.
- Mi sembrano foto in linea con concetti e idee che girano ormai da un decennio: il periurbano, il terzo paesaggio, le biodiversità…
- Certo: le idee volano e si diffondono come i pollini o semi stessi di queste piante, ma lo sguardo dell’architetto, anche dei paesaggisti, è dall’alto, tende a generalizzare; il fotografo invece può essere più umile e individualista. Può scegliere il filo d’erba, il fiore che oscilla e posare la sua camera sull’asfalto e sui marciapiedi.
- Ma il lavoro di Pino non è solo nelle sue fotografie. C’è anche l’ideazione, il progetto e la sua cura continua di questa mostra e del catalogo.
- Questa parte è ben visibile nelle immagini del “laboratorio”. Otto giovani autori hanno prodotto o selezionato immagini sul tema e l’impegno del curatore è proprio nel confronto continuo per individuare una linea coerente, far crescere una idea da approfondire e portare a compimento.
- Questo si percepisce guardando le foto, in alcuni casi è forse più evidente una certa coerenza tematica e formale. In altre si avverte di più il gusto per la rapsodia e la scelta erratica.
- E’ difficile crescere e saper rinunciare a qualche bella foto per seguire una linea precisa. L’aiuto che possiamo dare a questi più giovani è proprio l’invito al rigore, a filtrare le suggestioni formalistiche. Magari loro si possono chiedere perché sono state scelte proprio quelle foto: forse non saranno convinti ma è una occasione per riflettere.
- Fammi qualche esempio.
- Ecco: Vito Bellino rovescia quasi il tema del nostro lavoro e marginalizza i segni dell’attività costruttiva degli uomini nel paesaggio; Angelica Difronzo ci dà immagini di alberi che accompagnano il lavoro dell’uomo con catene, supporti sospensioni; tra le immagini di Andjelija Kordic abbiamo scelto quelle di questi grandi tronchi segati che segnalano un tema sentitissimo: l’amore per alberi che non sono riproducibili come oggetti di consumo e segnano gli spazi di vita. Donato Minuto invece costruisce un erbario quasi scientifico, elegante. I riflessi di luce sull’acqua dominano le foto di Mimmo Maiorano.
- Le foto di Vito Marzano, sono invece dedicate a costruzioni.
- Sì. Ma non sono le costruzioni pittoresche della nostra campagna: i trulli, le specchie, le pagliare. Sono i modesti cubi di chi coltiva la terra, ma sono radici metaforiche per noi e c’è un senso di attesa in queste persone che li interrogano.
- Ci sono anche delle foto di viaggio vedo.
- Sì: Antonio Pavone e Luca De Napoli hanno scelto foto dai loro viaggi. Una natura diversa e lontana da farci conoscere, con altri sensi e valori.
- Gran moda per le foto di viaggio.
- Sì molto, ultimamente.
- Ma ti ricordi di quando gli amici facevano vedere le diapositive dei loro viaggi e imponevano a tutti serate devastanti?
- Come no, speriamo che non ce ne siano più di serate così...
- Adesso ci sono anche i libri.
- Meglio la rete. Chi vuole se le va a vedere…
Vincenzo Velati
- Il successo dell’anno scorso ti ha consigliato di bissare? Per questo mi hai cercato?
- Successo… non lo so.. La novità di recitare il nostro testo fu applaudita. Forse il merito è della forma del dialogo. Parlare con te mi aiuta e poi il tuo punto di vista è diverso dal mio: posso scrivere un po’ di più.
- Pensa se fossimo in tanti: le idee volerebbero.
- Ma questo lo si fa a scuola, in classe o nei seminari all’università.
- Non so se oggi si facciano ancora. Però è giusto lasciar fiorire i pensieri di chi guarda.
- Il dialogo coinvolge: vedi nel cinema. Ma non bisogna banalizzare, come forse ne “La grande bellezza” nel dialogo tra critico e artista. Mi ha colpito invece, risentire il dialogo esistenziale, pieno di citazioni bibliche, tra i due killer di “Pulp Fiction”, con il laico Vincent Vega (John Travolta) che discutendo dei miracoli divini con Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) spara a Marvin, per caso; Vincent morirà poi come un eroe godardiano, leggendo Modesty Blaise, ispirazione latente di “Kill Bill”.
- Non ti perdere nelle citazioni per favore, e non te ne venire anche con i classici, rischi di essere il solo ad apprezzarli: non funzionano oggi questi rimandi complici.
- Ok. Parliamo di “Rami foglie e radici”.
- Allora, vedo che quest’anno c’è qualche novità. Avete preso il largo.
- Non provocare, le nostre cose sono sempre nuove. Sul filo del minimalismo, ma la ricerca è originale.
- Mi fa pensare questo termine: ricerca. Non dite foto d’arte o artistiche ma di ricerca. Spiegami che volete intendere.
- Hai ragione, ricerca è un concetto comodo da usare, ma spesso compaiono altri termini: autorialità, qualità, profondità….
- Ma mi pare che “ricerca” sia quello preferito. Perché?
- Perché richiama una intenzionalità consapevole, forte di alcuni principi formali e di comportamento. Quasi un protocollo di lavoro condiviso.
- Fammi capire: vi mettete d’accordo su dei temi e poi ognuno di voi esce di casa e gira con la macchina fotografica. Va incontro a quel che succede e che gli capita di vedere. E’ un po’ la pratica del flâneur di Baudelaire e Benjamin nella città moderna, che poi potrebbe essere alla radice (vedi che uso il vostro titolo!) di Cartier Bresson e del suo attimo rubato.
- Stai semplificando troppo. All’accostamento tra Baudelaire e Cartier Bresson non avevo pensato, ma se ricordo bene, proprio Baudelaire descriveva il flâneur come un “botanico del marciapiede”. In realtà alla base di tutto c’è una idea condivisa di cosa è fotografabile e di come questo deve avvenire. Ne abbiamo parlato altre volte: il paesaggio come insieme di segni storici e naturali organizzati da quadri mentali. La marginalizzazione della emotività della figura umana, del ritratto, del tragico. L’attenzione ai valori formali e compositivi, il rifiuto del giudizio e della enfasi, il rigore nell’uso degli strumenti, la consapevolezza dei registri linguistici, l’immagine come pensiero. Ma ti annoio, forse.
- No: è che quando parliamo di questo, il campo si allarga e mi pare che ogni immagine convincente sia oltre che problematica anche fondante del suo canone interpretativo.
- Sì ma solo se si riesce a costruire un insieme significativo di segni e forme. E se si costruiscono concetti, classi, generi.
- E gli autori ? Mica si mettono d’accordo. O no?
- No, non si mettono d’accordo prima, ma ci sono affinità e paralleli.
- Cioè?
- Richiami di immagini e di idee: quelle che accomunano e sono feconde. Ma ognuno lavora come crede, con pratiche personali, regole e vincoli autonomi. Non è che un sistema sia meglio dell’altro. È come nella poesia: c’è chi riesce a produrre solo se si impone le regole della metrica e della rima.
- E le adatta anche alla poesia erotica….
- Certo, sappiamo chi… e c’è chi va in cerca di versi sciolti e di una musicalità assoluta.
- Fammi qualche esempio tra queste foto che state per esporre. Non credo che tutte siano state fatte per l’occasione.
- Penso anche io: questi grandi alberi neri credo siano il frutto di un lavoro di qualche tempo fa di Michele Roberto. Sono immagini eroiche e drammatiche, per le forme e il contrasto tra luci e ombre. Dovrebbero essere i pini loricati del Pollino, giganti della montagna.
- Ricordano Friedrich.
- Cautela con le suggestioni pittoriche … Friedrich usava contrapporre le grandi querce invernali, contorte nei rami privi di foglie, ai monaci minuscoli nella neve per dare forza al suo simbolismo escatologico. Ma qui prevale una esaltazione dei valori di texture e di struttura organicistica.
- Sono immagini potenti e silenziose.
- Vero.
- E queste teste fiorite cosa sono?
- Sono statue lignee di santi riprese da Beppe Gernone. Beppe ha voluto introdurre delle dissonanze visive: accanto alle teste nude ha aggiunto fiori di vario tipo.
- Gernone ama l’immagine surreale, si sa.
- Qui ha usato le potenzialità digitali per alimentare anche una componente concettualistica: il legno secco scolpito e dipinto con accanto i fiori freschi, come in un altarino virtuale.
- E questi fiori che spuntano dalle grate?
- Sono di Franco Altobelli che altre volte hai visto intervenire creativamente sulle immagini. Qui invece ha scelto il timido affacciarsi di foglie e fiori dalle grate condominiali L’unitarietà della composizione dà un rigore forte alla serie e fa riflettere su come noi guardiamo la natura. Ma c’è anche la voglia di analizzare la percezione del passante che vede d’infilata le grate. Camminando con lo sguardo in avanti non si può girare a ogni passo la testa per un visione diretta. Costeggiando le grate un muro visivo continuo si apre progressivamente al nostro passo ma si percepiscono la luce e le aperture solo con la coda dell’occhio. Invece allo sguardo diretto i fiori e gli steli oltrepassano il muro.
- Sono foto delicate ed intense ma devono essere viste nell’insieme credo.
- E’ così: non vanno isolate, una per una, ma viste in continuità, non fugacemente.
- Queste altre con le foglie traforate come un merletto di chi sono ?
- Sono di Angela Cioce. Angela è fotografa pubblicitaria ma ha una base valoriale decisa. Sembra avere un atteggiamento orientale, di rispetto religioso verso la natura e aspira a una comunione panica. Di solito le foglie mangiate dai bruchi sono quelle che si scartano e si gettano via, lei invece le fotografa, con un senso di incanto per le forme. Lo stesso stupore che si avverte nelle foto dedicate ai rami innevati o ai fusti intravisti nella finestra o alle presenze straniate dei cactus.
- Ma anche nel video di Nicola De Napoli c’è qualcosa, di panico di fusione tra uomo e natura.
- Certo, a dirlo in poche parole si semplifica ma nelle immagini si insegue una idea antica di associazione tra creature vegetali e uomini. I boschi, gli alberi, le foglie i rami vengono confrontati per analogia con le cellule e le terminazioni nervose e muscolari del corpo umano. E le associazioni sono suggestive. Te ne rendi conto pian piano e fanno riflettere.
- Pavone invece sembra essersi dedicato alle macrofotografie questa volta…
- No, attento. Pino lavora sempre sulla profondità di campo, i riflessi, le ombre che fondano la relazione con il contesto, e non sul primo piano assoluto. Qui quel che importa non sono solo i vegetali spontanei dei marciapiedi e dei bordi stradali, che altri hanno già fotografato, ma la relazione con il contesto urbano. Per poterla valorizzare si è abbassato alla superfice stradale, là dove queste piante nascono e da lì nasce una visione particolare di muri e di spazi.
- Ma queste piante spontanee non sono mai isolate sono sempre a gruppi, quasi comunità vegetali nascenti, frutto di quei prati spontanei che prosperano incolti nei buchi urbani.
- Si certo, non sono solo accidenti singoli. Pino ha fotografato queste piante in tutta la città, è un allargamento di sguardo che è un’altra novità e che coglie un aspetto particolare di Bari, città con grandi spazi naturali non irreggimentati.
- Mi sembrano foto in linea con concetti e idee che girano ormai da un decennio: il periurbano, il terzo paesaggio, le biodiversità…
- Certo: le idee volano e si diffondono come i pollini o semi stessi di queste piante, ma lo sguardo dell’architetto, anche dei paesaggisti, è dall’alto, tende a generalizzare; il fotografo invece può essere più umile e individualista. Può scegliere il filo d’erba, il fiore che oscilla e posare la sua camera sull’asfalto e sui marciapiedi.
- Ma il lavoro di Pino non è solo nelle sue fotografie. C’è anche l’ideazione, il progetto e la sua cura continua di questa mostra e del catalogo.
- Questa parte è ben visibile nelle immagini del “laboratorio”. Otto giovani autori hanno prodotto o selezionato immagini sul tema e l’impegno del curatore è proprio nel confronto continuo per individuare una linea coerente, far crescere una idea da approfondire e portare a compimento.
- Questo si percepisce guardando le foto, in alcuni casi è forse più evidente una certa coerenza tematica e formale. In altre si avverte di più il gusto per la rapsodia e la scelta erratica.
- E’ difficile crescere e saper rinunciare a qualche bella foto per seguire una linea precisa. L’aiuto che possiamo dare a questi più giovani è proprio l’invito al rigore, a filtrare le suggestioni formalistiche. Magari loro si possono chiedere perché sono state scelte proprio quelle foto: forse non saranno convinti ma è una occasione per riflettere.
- Fammi qualche esempio.
- Ecco: Vito Bellino rovescia quasi il tema del nostro lavoro e marginalizza i segni dell’attività costruttiva degli uomini nel paesaggio; Angelica Difronzo ci dà immagini di alberi che accompagnano il lavoro dell’uomo con catene, supporti sospensioni; tra le immagini di Andjelija Kordic abbiamo scelto quelle di questi grandi tronchi segati che segnalano un tema sentitissimo: l’amore per alberi che non sono riproducibili come oggetti di consumo e segnano gli spazi di vita. Donato Minuto invece costruisce un erbario quasi scientifico, elegante. I riflessi di luce sull’acqua dominano le foto di Mimmo Maiorano.
- Le foto di Vito Marzano, sono invece dedicate a costruzioni.
- Sì. Ma non sono le costruzioni pittoresche della nostra campagna: i trulli, le specchie, le pagliare. Sono i modesti cubi di chi coltiva la terra, ma sono radici metaforiche per noi e c’è un senso di attesa in queste persone che li interrogano.
- Ci sono anche delle foto di viaggio vedo.
- Sì: Antonio Pavone e Luca De Napoli hanno scelto foto dai loro viaggi. Una natura diversa e lontana da farci conoscere, con altri sensi e valori.
- Gran moda per le foto di viaggio.
- Sì molto, ultimamente.
- Ma ti ricordi di quando gli amici facevano vedere le diapositive dei loro viaggi e imponevano a tutti serate devastanti?
- Come no, speriamo che non ce ne siano più di serate così...
- Adesso ci sono anche i libri.
- Meglio la rete. Chi vuole se le va a vedere…
Vincenzo Velati