Architetture & Paesaggi - Omaggio a Luigi Ghirri
a cura di Giuseppe Pavone e Vincenzo Velati
testi di
Giuseppe Pavone, Enzo Velati, Nicola Signorile, Vito Fortini
Due domande
Le domande che mi pongo osservando queste immagini, e pensando ad altre che ricordo, sono due.
Esiste una specificità della fotografia di architettura nel complesso dell’opera di Luigi Ghirri e se sì come si definisce?
E la seconda, che da quella dipende, se sia possibile, nel tracciare un omaggio a Ghirri in occasione dei vent’anni dalla sua scomparsa, non solo ricordare il suo tocco ma anche fotografare pensando alle sue immagini non per imitare uno stile, mai teorizzato, ma rivivendo, verso la veduta urbana e le foto di architettura, un atteggiamento che mi viene da definire morale più che di poetica?
In queste pagine Giuseppe Pavone presenta anche un lavoro di paziente educazione degli sguardi e di cucitura delle immagini - anche questo sa molto del Ghirri organizzatore culturale oltre che autore- partendo dalle sue parole sulla importanza del tempo e dello spazio nelle foto di architettura. Per chi conosce la sua opera queste attenzioni alla vita dello spazio, alle particolarità del tempo, alle variabili atmosferiche sono comunque fondanti del suo modo di lavorare generale e sono, peraltro, dettami ben presenti a un certo genere di pittori. Si pensi a come una delle opere più concettuali e pensate di Luigi Ghirri - l’istallazione “Infinito” composta da 100 fotografie assemblate in un’unica opera di più di 4 metri per 6,50 e il volume “∞ infinito” di Meltemi con i sui 365 cieli - richiami subito tanto gli studi di paesaggio e di nuvole di Cozens e Constable quanto le variazioni di luce delle serie di covoni e cattedrali di Monet. Ma c’è sempre in Ghirri un ricordo di grandi opere pittoriche del passato per la loro capacità di produrre emozioni visive. I nomi sono superflui ma si pensi almeno a Vermeer e Friedrich.
C’è però dell’altro secondo me e vale la pena ipotizzarlo, col rischio di dire cose vaghe ma con la speranza di cogliere qualche sfumatura nel percorso di Ghirri. C’è nelle sue foto di paesaggi italiani (e anche stranieri, come a Versailles) una attenzione dominante all’intreccio di storia e natura. I segni della storia concreta, della cronaca quotidiana - nei muretti, nel taglio delle siepi, negli stipiti, nei confini, qualificano la scena naturale e il dialogo con i vissuti degli uomini, di solito assenti o attori minimi, comparse e non protagonisti. L’attenzione ai segni che la storia non ha cancellato è anche nella amorevole attenzione per le decorazioni ingenue e spontanee che ci parlano di uomini e donne che vogliono costruire un senso armonico e poetico nei loro contesti di vita. E’ lo stesso interesse che si esprime nel riprendere i simboli degli atlanti e delle carte geografiche per attribuire loro valenze evocative e sognanti.
Nel contesto analitico dell’opera di Ghirri l’architettura occupa uno spazio di indagine particolare perché permette, anche, il confronto profondo con una intenzionalità progettuale consapevole che plasma direttamente la vita degli uomini. Dietro ogni edificio, non importa di quale qualità, c’è un pensiero, idee di spazio e di tempo che devono condizionare i luoghi e le vite. E’ l’attenzione a questi pensieri che guida il fotografo. Credo che Ghirri sia fortemente attratto da questa possibilità di dialogo con il pensiero materializzato degli architetti e dei costruttori e dalle possibili variazioni percettive permesse dallo svolgersi del tempo e dai percorsi degli uomini che questi spazi percorrono e vivono. Mi si dirà che questo può valere per tutti quelli che fotografano architetture. Certo, è un po’ come nell’interviste ai grandi personaggi: ci si può mettere in ginocchio servilmente, si può essere aggressivi e insinuanti per tendere trappole o anche aperti e disponibili senza pre-concetti e costruire testi memorabili. Ghirri è sempre disponibile, anche ironicamente benevolo, mai giudicante. E infine richiamerei due elementi che si fondono tra loro: Ghirri aveva uno sguardo tecnicamente competente nei confronti dell’architettura (aveva studiato da geometra) e dispiegava con le opere dei maestri la sua capacità compositiva di forme e contesti.
Ecco allora la voglia di far vivere le architetture raccontandole nel tempo e nei percorsi di vita, rifiutando il monumentalismo ingessato delle foto storiche della tradizione italiana (Alinari, Anderson) che usavano gli omini accanto ai monumenti solo quali “unità di dismisura”.
Credo che gli autori di questa mostra abbiano scelto, almeno nelle immagini che più di altre si fissano nella memoria, di confrontarsi con il ricordo delle foto di Ghirri cercando nei luoghi di Triggiano le tracce e i segni della vita quotidiana, o, anche, quegli allineamenti e quelle concordanze che permettono di cogliere le intenzionalità originarie dei progettisti e i comportamenti dei viventi.
Un vero saggio sulle possibili variabili di luce e del tempo è nelle immagini di Pavone dedicate all’asilo della Superga. La qualità formale dell’edificio è indagata in momenti diversi studiando le possibili inquadrature, le quinte vegetali, il giro delle ombre portate sulle facciate, documentando il lento e crescente abbraccio dei vegetali sulla costruzione. È quasi una esemplificazione, a rovescio dall’esterno all’interno, della passeggiata architettonica teorizzata da Le Corbusier per immergere le architetture nel paesaggio.
Antonio Tartaglione sceglie come vere protagoniste delle architetture le creature vegetali che occupano spazi e arcate, qualificano interni, rivitalizzano chiostri e spazi aperti. Il contrasto tra vita, forme simboliche religiose e statuaria lo affascina, e lo porta a tentare un ritratto di San Pio che benedice, con un vero rosario al polso, le fedeli dirette alla chiesa.
Sono pensose le foto di Michele Roberto con la finestra sullo sfondo del cielo che fa da appoggio alla esile rampicante che le restituisce leggerezza e fragilità. È così anche per le fessure del marmo che nella loro sofferenza materiale contrastano con la fissità della foto su ceramica, o per la squillante pietà dei fiori di plastica contrapposti alle austera rugosità dei cipressi. La vita artificiale colorata e chiassosa è in contrasto con la naturale fissità simbolica delle immagini dei defunti e il vitalistico ma sobrio disordine delle aiuole nel traffico.
Inteneriscono quasi le foto di Rocco Fazio dedicate alle decorazioni di una villetta spaesatamente sognata e conseguentemente dipinta con i colori di un gelato di fragole e panna, ed è in realtà assediata dalla geometrica funzionalità delle recinzioni e delle strade di scorrimento.
Accanto agli autori maturi si apprezzano anche più giovani autori che mostrano voglia di crescere accettando la disciplina del lavoro di gruppo e il rigore della ricerca.
Segnalo lo studio nella scuola San Giovanni Bosco delle cancellate e delle decorazioni geometriche di Vito Marzano, che si sofferma anche su come la luce invada le aule e i corridoi e quello delle foto di Ninni Castrovilli in Villa Nitti che analizza minutamente le decorazioni floreali metalliche, litiche e ceramiche mettendole quasi a gara con gerani, gelsomini e palme. Perché l’architettura è nelle dimore talvolta sogno e desiderio di ordine e compostezza. Come nelle foto di Pasquale Neglia, dedicate alle decorazioni classicheggianti dell’ospedale Fallacara che quasi malvolentieri accettano la presenza delle palme; o le armonie decorative e le solidità costruttive di palazzo La Gioia colte da Francesco Di Summa; o la sottile ricerca modulare, nei pieni e nei vuoti e nelle campiture di colore, di palazzo Sgaramella di Mario Palmisano.
Linda Capriati esalta la volontà di conservare e rispettare, negli spazi quotidiani interni ed esterni di villa Patano, gli stilemi di una decorazione d’epoca, dai pavimenti curati alle maniglie, dai legni dei portoni alle oleografie alle pareti, dalla testiera del letto ai ricami delle tende. Ma le foto sono pensate con attenzione alla luce di certe ore o al soffio del vento attraverso una finestra aperta.
Sottile la ricerca compositiva delle distonie cromatiche e i disallineamenti prospettici di luci, ombre e riflessi di Gianvito Zito nei parcheggi di Bariblu.
Sorprendono per impegno e alterità i disegni di Antonella Costanza per un grattacielo in piazzetta estrema, come in un capriccio postmoderno e trans-locale; il rapido scorrere delle immagini di Nicola De Napoli che danno ritmo frenetico ai percorsi e agli sguardi possibili per palazzo Consoli e palazzo Ricci nel contesto urbano diurno e notturno; la duplice e sofisticata analisi metaidentitaria compiuta da Altobelli sulla qualità progettuale dell’asilo della Superga e sulle foto di Pino Pavone di questo edificio.
Ancora una volta quindi un lavoro prezioso per Triggiano e il suo territorio e la consapevole soddisfazione, per gli autori, di corrispondere alle esigenze di moralità che il ricordo di Ghirri impone.
Vincenzo Velati